Frattura del femore: un problema non da soli anziani

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02/03/2017

Le fratture del femore sono tra le patologie ortopediche più comuni: secondo una statistica, infatti, solo in Italia il numero di ospedalizzati per fratture di questo tipo oscilla dai 70 ai 90mila casi ogni anno. La casistica più comune è quella di fratture del femore negli anziani, ma non è da escludere che i pazienti possano essere anche giovani o giovanissimi. In ogni caso, essendo il femore una della ossa più importanti del nostro organismo e fondamentale per il buon funzionamento degli arti inferiori, è necessario trattare dovutamente le fratture del femore per evitare di pregiudicare la deambulazione del paziente.

Frattura del femore: opzioni interventive e trattamento

Il trattamento riservato a questo tipo di traumi, come avviene più in generale con tutti gli altri tipi di fratture, dipende dall’entità e dalla localizzazione, oltre che dalle condizioni più generali di salute del paziente.

La fratture del femore negli anziani, come si è già accennato, sono tra le più comuni. Quasi sempre riguardano la testa del femore, cioè la sua estremità superiore, o l’area mediale, motivo per cui rischiano di compromettere non indifferentemente la funzionalità tutta degli arti inferiori. Vale la pena fare una precisazione: quasi sempre negli anziani la frattura del femore è una conseguenza di altre condizioni patologiche. I pazienti in età senile, infatti, possono rompersi il femore a causa di una caduta o di un trauma di lieve o lievissima entità: sono eventi da ricollegarsi spesso a osteoporosi, tumori o altre forme di infezioni che indeboliscono le ossa. Non a caso l’incidenza è maggiore tra la popolazione femminile, mediamente più a rischio degli uomini quanto a problemi alle ossa.

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Data la natura del trauma, la frattura del femore si presenta come piuttosto facile da diagnosticare. Il paziente accusa, infatti, un dolore acuto e che spesso si irradia anche verso l’inguine. In caso di frattura scomposta, inoltre, l’arto interessato può risultare spostato rispetto alla sua posizione naturale, più corto dell’altro e in qualche caso ruotato (fino a far toccare a terra il margine esterno del piede). Una radiografia permetterà di confermare la diagnosi, anche e soprattutto nel caso di una frattura composta a seguito della quale, se di minore entità, il paziente potrebbe anche riuscire a camminare.

Le opzioni interventive, a questo punto, sono due. Si può optare per l’osteosintesi, cioè la ricostruzione dei frammenti ossei tramite l’ausilio di chiodi e placche in metallo chirurgico. È un’ipotesi che viene presa in considerazione solo se il paziente è giovane o se la frattura è composta, di lieve entità e interessa la parte laterale dell’osso. In caso di fratture scomposte, che interessano una delle estremità del femore o la zona mediale o di pazienti over 60 l’opzione più comunemente praticata è quella dell’applicazione di una protesi, totale o parziale che sia. La scelta è motivata sempre dalla necessità di garantire la migliore ripresa possibile del paziente e di scongiurare problemi secondari come l’insorgere di infezioni e piaghe da decubito o la prolungata immobilità che potrebbero seguire alla frattura del femore.



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